domenica 1 maggio 2011

Wilfred Owen, DULCE ET DECORUM EST

Ogni anno quando spiego Ungaretti e le sue poesie di guerra, cito i cosiddetti War Poets, poeti di guerra, soldati che combatterono sul fronte francese della prima Guerra Mondiale e che subirono dei gravissimi traumi psicologici a causa delle violenze inaudite a cui assistettero.
Qanto ero al liceo ricordo ci fecero studiare questa poesia, ma non ne trovavo da nessuna parte una traduzione, così alla fine mi sono arresa a farlo da me: vi chiedo dunque scusa, qualora dovessero esserci errori o fraintendimenti, ho fatto del mio meglio, ma la lingua, non è la "mia". Ho cercato di rendere il concetto e l'espressività della parola , piuttosto che offrire una "traduzione di servizio"... insomma il solito vecchio dilemma del traduttore, se tradurre non sia infondo piuttosto "tradire".


DULCE ET DECURUM EST PRO PATRIA MORI (morire per la patria è cosa dolce ed onorevole)

Spezzati in due, come vecchi mendicanti sotto dei sacchi
Con le gambe storte, tossendo come streghe, noi attraverso il fango,
fino al lancio delle bombe illuminanti; allora noi girammo le nostre schiene,
cominciammo ad arrancare in direzione del nostro rifugio.
Uomini marciarono nel sonno. Molti avevano perso i loro scarponi
Ma, calzati del loro sangue, claudicavano.tutti divennero magri, tutti ciechi,
ubriachi di fatica, sordi anche ai fischi dei calibro 5.9,
che  stanchi caddero dietro di noi, ormai fuori portata.
Gas! Gas! Veloci ragazzi! Un’estasi di gesti brancolanti
Mentre, appena in tempo, s’indossavano le maschere antigas.
Ma qualcuno ancora stava gridando ed inciampando,
e dibattendosi come un uomo tra le fiamme, nella calce viva.
Sfocato, attraverso le lenti e la spessa luce verde,
come nel profondo di un verde mare, io lo vidi affogare.
In ogni mio sogno, di fronte al mio sguardo impotente,
Lui cade venendo nella mia direzione, gorgogliando, soffocando, sprofondando.
Se anche tu in un soffocante sogno potessi seguire
Il carro nel quale noi lo gettammo
E guardare il suo bianco sguardo contorcersi sul suo volto,
la sua testa completamente abbandonata, come quella di un demone nauseato dal peccato,
se tu potessi udire ad ogni sobbalzo il sangue
risalire gorgogliando dai suoi polmoni avvelenati,
osceno come un cancro, amaro come il bolo,
di una nefanda, incurabile piaga su lingue innocenti,
amico mio, non pronunceresti con tanta entusiastica boria,
di fronte a ragazzini smaniosi di una qualche disperata gloria
l’antica menzogna, dulce et decorum est
pro patria mori.

4 commenti:

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