martedì 21 dicembre 2010

il benzinaio, Montale e il Natale

sì i titoli tripartiti mi sono sempre piaciuti (l'ultimo capitolo della mia tesi di laurea si intitolava "l'uomo, l'arco, la leggerezza").
E dunque oggi pomeriggio in mezzo a varie vicissitudini per niente assimilabili allo spirito natalizio, sono dovuta andare a fare benzina. A finestrino abbassato, con l'occhio fisso al contatore guardo i piccoli numeri scorrere, penso al Natale, al tempo, alla vita, in una di quelle spirali di pensieri avvitate su se stesse che in termini di pensiero ho sempre pensato come assimilabili all'antimateria.
penso e ad un tratto arriva il ricordo di lei, la poesia più commovente del Novecento, e lui, il poeta dell'upupa, Eugenio Montale, diploma ragioneria.

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
      e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
      Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
      Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
5    le coincidenze, le prenotazioni,
      le trappole, gli scorni di chi crede
      che la realtà sia quella che si vede.

      Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
      non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
10  Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
      le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
      erano le tue.

      [da Satura]

Ho sempre fatto attenzione ai primi versi, quelli che a lettere miniate si imrpimono nella memoria di tutti, poi mentre i fumi di benzina si stendevano fino all'abitacolo dell'auto ecco che arrivano le conclusioni delle due strofe. "non mi occorrono più le prenotazioni, le trappole, gli scorni...". ancora e di più sempre capisco che non è la capacità e la conoscenza, ma la vita che poi dipana le maglie della poesia. La lingua è piana, scorrevole, satura vuole farsi capire, è la vita che non voleva farsi capire. E poi il pensiero del Natale, dei regali, delle luci delle apparenze, delle nostre piccole sofferene quotidiane e dello sparire di tutto di fronte alla fine della vita, alla sofferenza alle malattie. I piccoli scorni, quelli che avvelenano l'esistenza, che stornano la nostra attenzione verso cose che per quanto superficiali ci fanno soffrire. La nascita di Cristo allora forse assume il simbolo della riduzione della vita alla sua stessa essenza e con formula banale, alle cose essenziali. Chissà forse aveva ragione Pitagora, come ci insegnano gli insegnanti di matematica, che per ascoltare il suono delle sfere e per udire pulsare il prorpio cuore bisogna stare in silenzio, insomma, non solo l'essenziale sarebbe invisibile agli occhi, ma pure "inudibile" per le orecchie.
e allora basterà dire tanti auguri e pensare, come i nostri amici greci, che forse nulla è dolce come la luce del sole.

4 commenti:

  1. Davvero molto bello.Ho solo una parola: GRAZIE....

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  2. cosa s' intende per "ascoltare il suono delle sfere"?

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  3. Pitagora riteneva che i vari pianeti fossero "incastrati" in afere celesti e che queste girassero su se stesse. durante questi giri esse avrebbero prodotto un suono che però l'orecchio umano non sarebbe capace di percepire perchè da sempre abituato alla sua presenza, un po' come ci si abitua al ruomore delle pulsazioni cardiache. si tratta insomma di un suono universale e primigenio che attraverso il silenzione della disciplina interiore e la contemplazione mistica e filosofica, risulta recuperabili in termini di essenza ultima.

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